Glielo dobbiamo – Omelia di don Lorenzo S.Messa di commemorazione dei defunti

Negli scorsi mesi, noi sacerdoti non abbiamo potuto celebrare i funerali a causa della Pandemia. Io e don Angelo ci siamo recati più volte qui al cimitero per accompagnare comunque le persone che sono venute a mancare a causa del virus o per altro motivo. Non importa ora sapere quante persone sono morte a causa del virus o meno. Ciascuno di loro però non ha potuto essere sepolto secondo i normali riti della chiesa che prevedono la celebrazione della S. Messa e l’accompagnamento al cimitero. Abbiamo comunicato già ad allora ai parenti stretti che avremmo celebrato una S. Messa proprio per fare memoria di quei defunti qui in cimitero. E’ questo un momento di chiesa che ci vede raccolti a pregare accanto ai defunti e ai loro familiari ed è anche un momento della comunità civile qui rappresentata dal Sig. Sindaco
Dell’esperienza di quei mesi mi hanno colpito alcuni particolari.
Anzitutto il silenzio che regnava qui in cimitero nel momento dell’ultimo commiato. Il cimitero era chiuso, tutti erano nelle proprie abitazioni in osservanza ai vari decreti ministeriali. Sono stati momenti in cui ogni parola pronunciata assumeva un peso particolare e risuonava forte anche se pronunciata sotto voce. Non era il caso di parole urlate né per il contesto delle esequie, né per il contesto ambientale che suggeriva invece un tono pacato.
Le persone presenti erano necessariamente poche. Questo mi permette di riflettere sul tema della solitudine. Molti nostri defunti sono stati costretti a vivere la malattia e il passaggio dalla vita alla morte senza la presenza dei propri cari. Questo ha generato notevole sofferenza sia per chi ora non c’è più, sia per i parenti che non hanno potuto manifestare il loro amore e la loro vicinanza a chi amavano in un momento così particolare e difficile come è quello della morte. Ho toccato con mano lo strazio di parenti stretti che non hanno potuto nemmeno essere presenti qui in cimitero.
In cimitero abbiamo soltanto potuto pronunciare le parole di Gesù che anche questa sera ripeteremo e abbiamo potuto benedire i defunti. Questo gesto della benedizione che tante, troppe volte pratichiamo senza pensarci è invece il segno dell’amore di Dio che si interessa dei suoi figli e parla bene di loro, li benedice e li accompagna affinché la loro esistenza possa essere felice. Dio benedice il suo popolo e lo ama.
Ora che poco alla volta tutto torna alla normalità personalmente credo di essere in debito verso queste persone che abbiamo accompagnato al cimitero. Io credo di dover restituire a loro qualcosa. Credo che tutto noi abbiamo il dovere aver imparato e di restituire a loro qualcosa. Glielo dobbiamo.
Dobbiamo restituire un uso più riflessivo e meno impulsivo delle parole. Dobbiamo imparare a sussurrare e non ad urlare. Dobbiamo imparare a scegliere le parole giuste da pronunciare. Dobbiamo imparare a pronunciare parole buone che vadano nella linea dell’incontro e non dell’odio. Dobbiamo imparare talvolta anche a tacere. Dobbiamo disimparare l’arte polemica del criticare sempre per appropriarci dell’arte del costruire il bene di tutti. Credo che il silenzio di quei giorni ci insegni questo. Glielo dobbiamo a questi cari defunti.
La solitudine di quei giorni ci riporta anche alla seppur graduale ripresa della vita sociale. Dobbiamo imparare a stare insieme. Non è un’arte scontata e innata. Bisogna imparare a stare insieme bene considerando l’altro come un fratello. La ripresa dei rapporti sociali sia occasione di grazia e non di scontro. A volte si ha proprio l’impressione che le prime abitudini di cui ci siamo riappropriati siano proprio le peggiori. Non possiamo permetterci questo. A noi credenti è chiesto il salto di qualità di chi sa stare in mezzo agli altri come ci stava Gesù. Non possiamo nasconderci dietro al “Fan tutti così”. A noi è chiesto di più, non perché costi maggior fatica ma semplicemente perché vogliamo vivere in verità i rapporti umani senza lasciarci abbagliare dalle false promesse o illusioni. La cura dei rapporti umani dice la profondità dell’animo umano e ne accresce la bellezza. Glielo dobbiamo ai nostri cari defunti. Essi ci lasciano questa eredità preziosa e questo insegnamento. Ciò che non abbiamo imparato a causa della pandemia possiamo riceverlo ora come testamento da loro. Loro ci chiedono di vivere in pienezza e bene in una società solidale e rispettosa dei valori di ciascuno, senza dimenticarci mai che l’acquisizione di un diritto porta con sé anche l’acquisto di due doveri.
Da ultimo, possiamo imparare a ricevere la benedizione di Dio. Dio ha una parola per il cuore di ciascuno di noi. Egli si accompagna a noi nel cammino della vita e noi ogni domenica possiamo incontrare Lui ed essere in autentica comunione con i nostri cari nella celebrazione dell’Eucarestia. Lì scopriamo sempre più quanto Dio ci ami e a nostra volta diventiamo una benedizione vivente per le persone che incontriamo lungo il percorso della nostra vita. Ecco: noi possiamo essere la benedizione di Dio per il fratello che incontriamo. I nostri cari defunti hanno ricevuto la benedizione del Signore e noi ora ne facciamo memoria diventando benedizione per chi incontriamo. Credo che glielo dobbiamo.
Seguendo le parole che il vangelo questa sera ci offre, siamo invitati da Gesù a “prendere il largo” e a interpretare la nostra esistenza non solo contemplando l’orizzonte terreno ma tenendo presente soprattutto il punto di vista di Dio. Siamo chiamati ad allargare i nostri orizzonti con prospettive nuove che ci permettono di intraprendere sentieri finora sconosciuti e apparentemente impossibili da percorrere.
Io non so se questo servirà ad estinguere il debito che abbiamo verso questi nostri fratelli per i quali ora invochiamo ancora una volta la benedizione di Dio. So però che loro sarebbero davvero felici di averci lasciato qualcosa di importante per le nostre vite e sarebbero contenti di vederci vivere in pienezza e bene la nostra esistenza. Glielo dobbiamo.

di don Lorenzo Stefan

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