Il Villaggio, alle origini, si presenta come un agglomerato di case nuove, ma senza strade asfaltate, senza negozi, senza chiesa e senza scuole, “un agglomerato senza centro e senza volto”. Mentre cominciava ad essere abitato sorse una nuova cappella in legno. Per il Natale del 1955 le pareti e il tetto erano ultimati, mancava però il pavimento, così che in quel giorno non si potè celebrare. Il 12 febbraio del 1956 l’allora parroco di Cesate don Michele Casati benedice la cappella e celebra la prima Messa al Villaggio.
Non c’è la luce elettrica, non ci sono sedie e non ci sono confessionali e nemmeno il battistero. Pian piano con gli aiuti che arrivano anche dalla diocesi inizia la cappella in legno inizia ad essere un po’ più comfortevole, aumentano anche i fedeli che la frequentano.
Intanto l’Arcivescovo invia don Umberto Sanvito per celebrare la messa festiva nella nuova cappella e il 1 luglio del 1956 viene nominato Parroco della nascente parrocchia.
Il 22 luglio l’Arcivescovo mons. Montini fa visita alla nuova comunità che pian piano si sta costituendo.
La cappella è ormai troppo piccola per accogliere i fedeli che la frequentano, ma il progetto della nuova chiesa è bloccato dalla burocrazia, poi il 24 giugno del 1957 un furioso uragano, scoppiato nelle prime ore del pomeriggio, fa crollare la cappella. E due giorni dopo il crollo finalmente vengono firmate le ultime carte per la costruzione della nuova chiesa in muratura.
La chiesa parrocchiale del Villaggio dopo un consulta popolare si è deciso di dedicarla a San Francesco d’Assisi.
La nascita della nuova parrocchia è da inquadrare nel programma pastorale dell’allora monsignor Montini, arcivescovo di Milano, che fa la precisa scelta di rendere ecclesiasticamente autonome le realtà dei quartieri che man mano si costruiscono nella periferia milanese. E’ questa una condizione importante perchè le nuove comunità acquisiscano una propria identità umana e religiosa che non sarebbe possibile con l’aggregazione ad altre parrocchie e questa scelta è ancora operante nel progetto “Nuove Chiese”.

Per queste nuove parrocchie sceglie sacerdoti giovani, affidando loro il compito di fondare nuove comunità . “Ti mando in terra di missione”, dice loro, e li segue con particolare attenzione, anche con contributi destinati a loro direttamente a alle comunità che stanno formandosi.

Il compito e lo sforzo della nuova parrocchia affidata a don Umberto Sanvito è di trasformare un accampamento di individui in una comunità di persone, di amalgamare gente che, provenendo da tradizioni, ambienti, situazioni diverse, incontra grosse difficoltà di rapporto e di comunicazione, di creare un tessuto sociale attorno alla parrocchia, unico centro di aggregazione. Quest’opera di trasformazione trova il suo riscontro anche visibile sul piano fisico, nella costruzione della chiesa e degli edifici parrocchiali, cui si affiancano nel tempo le infrastrutture pubbliche.

A metà degli anni ’60 la comunità parrocchiale, accogliendo il messaggio del Concilio, si impegna, nella sua componente laica, in una propria lettura e in una particolare attività per la soluzione dei problemi del territorio.

Negli anni Ottanta lo sforzo delle parrocchia, che ha ormai una sua tradizione e una sua identità,

è quello di coinvolgere i “nuovi immigrati” che, provenendo per lo più dalla città, con la quale mantengono un legame non solo lavorativo ma anche di riferimento, rischiano di abitare a Cesate senza sentirsi di Cesate.

La prima pietra fu posta il 6 ottobre 1957 da Mons. Oldani ed è stata costruita su un progetto dell’architetto Gardella: è di stile romanico-lombardo, tutta in mattoni rossi a vista.
Ha una sola navata, non ha finestre ma riceve luce dalle fessure a forma di croce ricavate nel muro.
Anche il pulpito, le balaustre e il fonte battesimale sono in mattoni a vista.Tutto il vano e lo spazio della navata è dunque servito come vano o spazio luminoso: e infatti le lesene, col loro margine d’ombra scandiscono gli intervalli del piano, un ballatoio sotto le finestre scherma la luce obbligandola a riflettersi sugli spioventi del soffitto, la campata sopraelevata ha una luce propria che piove sull’altare facendone il luogo più luminoso di tutta la chiesa.
L’interno assomiglia all’esterno, vi sono gli stessi mattoni e le stesse lesene e perfino la stessa copertura interna ha gli stessi spioventi del tetto.
Il colore predominante è il rosso delle murature portanti, sottolineato dal grigio del cemento delle capriate, dal bianco dell’intonaco, dal grigio scuro della pietra.

La chiesa fu consacrata da monsignore Montini il 26 ottobre 1958 dopo 1 anno di lavori per la costruzione.

All’interno della chiesa di San Francesco, si possono osservare alcune opere di Nastasio: al centro della navata, dietro l´altare maggiore, un´immensa opera di 20 m²: “L´ultima cena”; e le quattordici tavole di legno incise, suggestioni potenti di arte astratta, tratto forte e deciso a sottolineare con vigoroso figurativismo i momenti più struggenti della Via Crucis.
Linee vibranti, stacchi netti, irregolari, definiscono le figure, dove è leggibile solo la tensione estrema. Un´impaginazione volutamente dimessa ne evidenzia l´intensa drammaticità .