Ritorno dall’esilio – Ri-trovare e ri-costruire

Nei giorni in cui incomincia la ripresa delle varie attività, seppur con lentezza e con l’obbligo di seguire alcune prescrizioni, mi sono chiesto: quale icona biblica può aiutarmi ad interpretare secondo la logica di Dio questo momento di ripresa?
Mi è subito venuta in mente l’esperienza vissuta dal popolo di Israele in occasione della conquista di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor nel 597 a.C. e la conseguente deportazione, non di tutto il popolo ma in particolare della classe dirigente e delle persone importanti, a Babilonia. Nel 587 a.C., in seguito ad un’altra rivolta fomentata dal re Sedecia, Nabucodonosor riconquistò Gerusalemme e distrusse le mura e il tempio. Iniziò di fatto il periodo dell’esilio a Babilonia, periodo contraddistinto dalla fede in Dio e dalla speranza di poter ritornare nella propria terra a ricostruire il tempio del Signore. Il trauma della deportazione a Babilonia ha spinto il popolo ebraico a ripensare profondamente la propria religiosità.
In qualche maniera possiamo fare nostra l’esperienza del popolo ebraico e permettere alla parola di Dio di illuminare l’esperienza che stiamo vivendo.
Noi, gente abituata a vivere fuori di casa, al punto che spesso la casa veniva definita un albergo, siamo stati costretti per un breve tempo a vivere in casa, isolati dal così tanto necessario contatto fisico con gli altri. In un mondo dove abbiamo creato rapporti virtuali così importanti, ci siamo resi conto della necessità di avere rapporti umani concreti. Ci siamo accorti della loro essenzialità.
Anche per noi il tempo dell’esilio sembra essere finito, seppur con grande lentezza. Al termine di questa esperienza che certamente non rimpiangeremo, come il popolo di Israele siamo chiamati a interpretare bene gli eventi e le esperienze che ci attendono.
Anzitutto credo che sia necessario entrare nell’idea che non ritroveremo tutto ciò che abbiamo lasciato. In primo luogo non ritroveremo più tutte le persone che abbiamo conosciuto prima di questa esperienza. Alcune di esse ci hanno lasciato per sempre e spesso hanno compiuto questo passo nell’estrema solitudine dovuta alle strette norme di salvaguardia della salute. Non ritroveremo più nemmeno tutti i luoghi che conoscevamo prima. Molti sono cambiati, altri sono stati modificati, in altri ancora si accede con modalità diverse. Alcuni esercizi commerciali dai quali normalmente ci servivamo precedentemente ora sono chiusi nell’incertezza di poter riaprire o meno. Ciascuno di noi inoltre non ritroverà più nemmeno le abitudini di prima. Siamo e saremo chiamati a cambiare molte nostre abitudini e queste influiranno anche sulla percezione delle nostre esigenze primarie e non. Dopo la riapertura vivremo un momento di fragilità e di smarrimento dovuto al fatto che dovremo in qualche maniera reinventarci la nostra esistenza e questo non avverrà riguardo alle attività che svolgiamo ma avverrà riguardo allo stile. Torneremo alle solite cose, al lavoro, alla scuola, alla fede, al tempo libero e a quant’altro, ma saremo chiamati a modificare il nostro stile di vita e il nostro ritmo. Nel mondo del consumismo, nel mondo del “tutto e subito” saremo chiamati a imparare nuovamente l’attesa di chi sta in fila dietro al fratello che ha la precedenza. Questo è certamente più difficile rispetto al cambio di iniziative. Non cambieranno le attività ma dovrà cambiare il modo con cui le vivremo e dovremo essere docili ai percorsi che ci verranno suggeriti.
In questo contesto saremo chiamati invece a ricostruire. Proprio come il popolo di Israele anche noi saremo chiamati a ricostruire il tempio della nostra fede. Non dobbiamo ricostruire fisicamente la chiesa ma il nostro vivere la fede, il tempo del lavoro, le occasioni delle relazioni, il tempo libero, il volontariato… Ogni ricostruzione nasce dall’esperienza del passato. Chi ricostruisce è lo stesso che ha costruito già una volta e che ha visto la sua opera andare in frantumi. La ricostruzione nasce allora dall’esperienza vissuta precedentemente. La storia diventa maestra. Come già dicevo in altre occasioni non tutto il passato è da buttare a mare. Occorre fare tesoro delle esperienze positive e degli errori commessi. Chi ha fatto esperienza del passato è capace di una ricostruzione che nasce si dal passato, ma si sbilancia nel futuro. Ogni ricostruzione porta con sè il dono dell’entusiasmo e contemporaneamente la necessità di un’intelligenza che guidi con saggezza stili di vita e iniziative. Ogni ricostruzione genera novità inattese a capaci di suscitare gioia.
Anche noi dunque torniamo con gioia alla terra della nostra vita. Non la troveremo più come prima, ma questo non dovrà essere motivo di sconforto e di tristezza. E’ invece una sfida che ci è offerto di vivere, la sfida di dissodare e coltivare nuovamente il campo che il Signore ci affida, la sfida di interpretare secondo la logica del vangelo la nostra esistenza. Avremo bisogno di tanta pazienza e di tanto coraggio; avremo bisogno di imparare dalle esperienze del passato senza indulgere alla nostalgia; avremo bisogno non spaventarci delle novità ma di farle fruttare; avremo bisogno di entusiasmo ma soprattutto di intelligenza; avremo bisogno di più fede e di meno religiosità…
Sono tante le cose di cui avremo bisogno, ma esse arriveranno unicamente se accetteremo di vivere in pienezza questa sfida. Questi tempi potranno trasformarsi in occasione straordinaria per rimodellare il nostro vissuto interiore e il nostro vivere sociale, oltre che la nostra fede.

di don Lorenzo Stefan